Mamma Uccide Figlia

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Mamma Uccide Figlia – Quando è stata uccisa Elena Del Pozzo, perché Martina Patti ha creato un finto rapimento? Perché una donna dovrebbe uccidere il proprio figlio?A casa, un bambino può sentirsi protetto e protetto. O almeno il più dannoso. Lo dimostrano anche i media. Negli ultimi due decenni, il grande pubblico ha dovuto fare i conti con una presa di coscienza inquietante: le madri hanno il potere di porre fine alla vita dei propri figli. Le stesse donne che avrebbero dovuto essere le loro badanti e mentori primarie. Per questo non si contestano storie come quella di Martina Patti, madre della figlia di Elena Del Pozzo, quella di Martina Patti. L’idea che le donne siano fisiologicamente predisposte all’amore e all’annullamento della propria persona nei confronti dei figli che hanno prodotto è profondamente radicata nella società, il che purtroppo spiega perché questo è il caso.

Quelli di noi che hanno lavorato per anni sulle scene del crimine non sono stati contagiati da questa idea, però. Gli investigatori non stanno meglio. Dopo aver escluso qualsiasi coinvolgimento della criminalità organizzata o sequestro di persona a scopo di riscatto, gli stessi investigatori hanno rivolto la loro attenzione alla casa delle persone che avevano sacrificato la propria vita per il bene di Elena: sua madre. Poiché non c’erano testimoni a sostegno dell’affermazione del rapimento, era una conclusione scontata che sarebbe stato così.

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In pieno giorno e nelle ore di punta, nessuno aveva mai assistito a un commando di uomini incappucciati che si aggirava per le strade. Inoltre, la scuola dei bambini finisce quando vanno all’università o fanno carriera. Passò inosservato poiché il comando di cercarlo non esisteva. In caso contrario, dovremmo almeno pulire il pavimento. Non è raro che una donna organizzi un rapimento del proprio figlio. La soluzione è semplice dal punto di vista criminologico. D’altra parte, guardandolo logicamente, non ha senso.

Tuttavia, questo può essere fatto solo dagli esseri umani. Tutte le madri mortali, infatti, compiono una serie di depistaggi per allontanare da se stesse ogni sospetto dopo aver commesso un filicidio. Raggiungono questo obiettivo abbellindo la storia e facendo un uso esagerato dei dettagli. Con l’obiettivo primario di aumentare la plausibilità della storia dal loro punto di vista. Quasi tutte le possibilità, però, portano a un conflitto oa una rappresentazione degli eventi più simile a un thriller che a una tragica pagina di cronaca, che è la storia. A questo proposito, la narrativa estremamente descrittiva ed eccessivamente povera di alcuni casi è una chiara falsa indicazione per la psicolinguistica forense. Provo a spiegare cosa intendo.

In quelle circostanze, il rapimento non era né plausibile né possibile. Non solo in termini di cronologia e modalità di accadimento degli eventi, ma anche in termini di contenuto scientifico della testimonianza. Quando la madre di Elena ha parlato del rapimento di sua figlia da parte di un gruppo di uomini armati incappucciati, lo ha definito un “commando”. Tuttavia, non è stata in grado di fornire alcuna informazione su di lei, nemmeno il modello o il numero di targa.

Se sei come me e segui regolarmente casi di omicidio, sai quanto sia importante la testimonianza di un testimone per determinare chi è la colpa. Anche, o in certe situazioni soprattutto, gli errori nel segnalarlo a chi lo fa disonestamente. Torniamo a Martina Patti, vero? La donna aveva ricordi vividi degli eventi che circondavano il rapimento, che ha raccontato in modo molto dettagliato. Uomini incappucciati, armati di pistole.

Eppure non ricordava un dettaglio importante: il colore dell’auto che avrebbe dovuto essere nella sua testa. La capacità di una persona di descrivere accuratamente ciò che è accaduto in un modo coerente con la realtà è indubbiamente ostacolata dalle emozioni e dallo stress a cui si trova al momento della segnalazione. Ci può essere solo una conclusione da questo: o ogni dettaglio viene ricordato o la memoria è completamente cancellata. I dettagli non possono essere selezionati all’ingresso. La madre deve essere indiscutibilmente dotata di un acuto senso di raccoglimento. È importante ricordare che il ricordo non è solo un’immagine mentre siamo in una circostanza normale. In questo caso, non con il rapimento di una figlia.

È impossibile trovare un’unica spiegazione per ciò che motiva una madre ad uccidere i suoi figli. Data l’insondabilità del gesto, il pubblico è costantemente alla ricerca di prove che la madre insanguinata fosse pazza. Ma non è sempre uno stato di irrazionalità. Il desiderio di soffocare la preoccupazione e il senso di sventura delle donne è il motivo per cui vogliamo interrompere qualcosa di malato nel genitore mortale. In effetti, credere che esistano scenari psichiatrici di fronte a gesti di questo tipo supporta l’assunto che, in assenza di malattie, nulla di simile potrebbe verificarsi. È stata vittima della sua stessa follia e di conseguenza ha ucciso sua figlia”.

La mia sanità mentale non mi avrebbe mai permesso di fare una cosa del genere. Purtroppo, come temevo, non è così. Non sempre, comunque. Come può una madre uccidere suo figlio? Quasi spesso, ci sono altri fattori in gioco. Le madri, d’altra parte, uccidono i loro figli troppo spesso per vendetta. Fo

rdare un partner o un ex partner per un illecito percepito o effettivo. Le osservazioni della zia paterna di Elena potrebbero essere interpretate come un riflesso di questo scenario. La nuora avrebbe tentato di incastrare suo fratello e il padre del bambino ucciso, se questa teoria è corretta.

Le loro armi preferite sono spesso oggetti contundenti o lame affilate come rasoi. Annegamento, defenestrazione e soffocamento non sono meno comuni. In questo caso Martina Patti ha ammesso di aver ucciso la figlia Elena, ma non è sempre così. Ci sono alcune donne che, per preservare la vicinanza della loro famiglia, scelgono di negarlo per il resto della loro vita. Alla maniera di Anna Maria Franzoni, per esempio. Elena Del Pozzo interpreta Samuele, Loris e Gioele in questo film.

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