
Ezio Mauro Malattia Mano – Ezio Mauro non è il mio tipo perché mi considero più un politico, un fissatore dal pensiero forte, che un giornalista. Però Mauro è il mio tipo anche nei casi di diversità e di quelli occasionalmente pungenti, dolorosi e perversi». anni. “Bravo, Ezio – scrive Ferrara. Ti mando un bacio e, sulla scia dei precedenti pensierini, aggiungo: Allahu akbar”. Sono contento che Ezio Mauro non sia più alla guida di Repubblica.
Che stia bene è un’ottima notizia. Vent’anni di servizio sono una pietra miliare significativa e la tua partenza dovrebbe essere celebrata come tale. Hai tempo per contare gli errori e le supposizioni, i profitti e le perdite, come dice il poeta. È cosa giusta e buona dimettersi da un incarico di responsabilità esecutiva a favore di persone più giovani, più preparate, devote e agguerrite”. Adora, pratica e mantieni la leadership anche senza una consacrazione ufficiale, per la quale non era idoneo.
Nella trasmissione Propaganda Live in onda questa sera, il giornalista Ezio Mauro sarà un ospite d’eccezione. Il programma condotto da Diego Bianchi è in onda su LA7 dalle 21:20. Ezio Mauro nasce il 24 ottobre 1948 a Dronero, in provincia di Cuneo. Ha 73 anni al momento della stesura di questo documento. Nel 1972 inizia a lavorare per la Gazzetta del Popolo di Torino, quando inizia ufficialmente la sua carriera di giornalista. Il vero dilemma dell’Avvocato era in questo campo.
Qui contribuisce con alcuni pezzi sul tema dei terroristi neri. A seguito di questi scritti, è stato attentamente monitorato dal membro delle Brigate Rosse Patrizio Peci. Nel 1981 Mauro diventa capo inviato interno de La Stampa. Per il pubblico, la vita personale del giornalista rimane in gran parte misteriosa. Ci sono prove che sia un uomo sposato. Dovrebbe esserci un coniuge nella sua vita e un figlio nella sua famiglia in questo momento.
Durante la sua carriera giornalistica, Mauro è autore di vari romanzi come L’anno del ferro e del fuoco. La rivoluzione di Aldo Moro: le cronache. Cronache di un rapito, libero dal male. Per diffondere la democrazia come un virus, L’anonimo autore. Mosca 1966: processo letterario. Nel 1988, Mauro ha iniziato la sua carriera come giornalista per la Repubblica con sede a Mosca, dove ha seguito in dettaglio le riforme della perestrojka.
Due anni dopo torna a La Stampa accettando l’incarico di direttore nel 1992. Nel 1996 subentra alla redazione de la Repubblica dal suo fondatore, Eugenio Scalfari. Dal 14 maggio 2009 al 6 novembre 2009, Giuseppe D’Avanzo pubblicate ogni giorno su la Repubblica, dieci domande rivolte all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, interrogandolo sulla politica del governo, sulle sue vicende personali e sulla sua morale.
Nel 2016 Mario Calabresi è subentrato a Mauro come caporedattore de la Repubblica. IERI a Torino, nel silenzio artificioso di una malattia vissuta anche in pubblico, dichiarata e riconosciuta come destino, appuntamento, si è conclusa la lunga vita pubblica di Gianni Agnelli. Qualunque sia la situazione, la crisi ha aperto alla concorrenza la leadership della Fiat e ha infranto definitivamente il diritto naturale della famiglia al potere.
Questa vita ha attraversato tutto il secolo italiano, l’avventura industriale, il fascismo, la guerra e la liberazione con gli americani, il dopoguerra e il boom, l’avvento della grande finanza e la cometa della new economy, il terrorismo e la decadenza delle famiglie numerose con il declino dell’aristocrazia industriale. Dal primo giorno alla Fiat all’ultimo a Torino, si potrebbe dire che quello era il suo “vero lavoro”.
Con la città sabauda come premessa e prolungamento della fabbrica, come fossero un unico e medesimo progetto meccanico, un insieme fisico e metafisico, fino al tramonto della fabbrica fordista, vero orizzonte del suo paesaggio. L’unica formula chimica su cui poggiava la sua leadership – il principio dinastico, il peso della fabbrica, il sodalizio Fiat-Stato, Torino, la dimensione mondiale – è ormai irrimediabilmente perduta con la sua scomparsa.
Il profilo di una vita spesa nell’esercizio di un potere solo in parte materiale e altrimenti anomalo perché carismatico e incorporeo, quasi mistico, presunto e obbligato allo stesso tempo, come per una designazione dinastica accettata da un Paese scettico su quasi tutti dei suoi poteri derivati dall’istituzione, rimane dopo che queste sconfitte private che in qualche luogo nascosto devono averlo piegato gli vengono sottratte.
E come il re aveva “due corpi”: quello concreto e materiale di industriale e capitalista con interessi, amici, nemici, alleanze ed errori; e quella mitologica e presunta, del protagonista di un’Italia con una classe dirigente erratica, mutevole e generalmente screditata, sia all’interno che all’estero.
il gusto del potere, o più precisamente la responsabilità che deriva dall’essere al comando.
Per tutta la vita dell’Avvocato l’orgoglio dinastico rimase alto. Prima di lui, la designazione di suo nonno serviva da standard rispetto al quale poteva misurarsi; e più recentemente, il suo impegno a perpetuare quella designazione conferendoglielasuo nipote, ripetendo così il rituale e la garanzia richiesti come mezzo per assicurare la continuità dell’esistenza della famiglia.
Ma era inutile; il rituale non ha avuto effetto. La vita di Gianni Agnelli però si chiude con un’amputazione dinastica che inquina il segno del comando perché Umberto lo eseguirà più per dovere di obbligo che per scelta, sia pure tardiva, dopo che l’autorità si sarà disgregata. Era così potente che quando in privato pensò di ritirarsi dalla carica di presidente della Fiat sotto l’impatto dello scandalo delle tangenti, fu proprio la paura di violare il principio dinastico a fargli cambiare idea.
